“Voglio morire in battaglia”. Lo lotta di Max, malato di SLA, per l’eutanasia legale
“Io voglio morire in battaglia”. Qualche altra volta nella mia vita mi era capitato di sentirmi dire questa frase, il più delle volte da persone che di battaglie non ne avevano mai fatte davvero, ma magari millantavano di essere dei novelli Che Guevara. Attivisti politici più o meno “de sinistra”, volontari impegnati a sostenere cause in mezzo mondo, il più delle volte leoni “da tastiera”. Confesso che ogni volta di fronte a quelle parole mi sono ritratto, finché ieri non ho conosciuto Massimo Fanelli.
Max Fanelli e la sua “Via Crucis fuori stagione”
Max vive a Senigallia con la moglie Monica in una bella casa in collina e la sua battaglia è quella per istituire una legge sull’eutanasia legale. Ha 54 anni, dal settembre del 2013 è malato di Sla, sclerosi laterale amiotrofica, prigioniero di una gabbia il cui perimetro è segnato dal suo corpo. Non un centimetro oltre. Da gennaio Massimo è immobile: il suo corpo non ha perso sensibilità, ma tutti i muscoli hanno smesso di funzionare, persino i polmoni. Non può muovere braccia, gambe, mani, testa. Non può parlare, ridere, stringere mani, abbracciare Monica né i figli. Respira grazie a un apparato medico e si nutre grazie alla pes, un tubicino che immette nel suo stomaco gli elementi necessari per vivere. Solo l’occhio destro gli funziona ed è solo grazie ad esso che riesce a comunicare con il resto del mondo. Fissa le lettere sul monitor di un computer a controllo oculare e compone delle frasi che poi verranno pronunciate dalla voce metallica e inespressiva del congegno elettronico. “Io voglio morire in battaglia”.
Max è un combattente. Un predestinato, verrebbe da dire dopo aver ascoltato – dalla solita voce metallica – la sua storia: dirigente (lui dice “anarchico”) di una multinazionale, con una laurea in psicologia sociale conseguita alla Bicocca, Massimo ha cambiato la sua vita quando ha conosciuto Emergency in Sierra Leone, un paese devastato da una guerra durata 12 anni. E’ in quel momento che ha deciso di dedicare la sua vita al martoriato paese africano fondando un’associazione – I compagni di Jeneba – di cui tutt’ora è il presidente. Poi è arrivata la Sla, la sopravvivenza delegata a dei macchinari e la dipendenza totale dalle persone che lo assistono 24 ore al giorno. Poteva arrendersi, ma ovviamente questa ipotesi è stata scartata fn da subito. Ha scritto un libro (Via Crucis Fuori stagione, editore Ventura): “Questo racconto è il mio testamento morale. Vuole anche essere un insieme di spunti e riflessioni ma soprattutto l’esempio che se credi fermamente negli ideali di giustizia e libertà puoi continuare a lottare per esse, a difendere la tua dignità di uomo anche se sei aggredito da una patologia disumana come la Sla”.
La battaglia di Max per l’eutanasia legale
La battaglia di Massimo Fanelli è quella per l’eutanasia legale. Da mesi, con il movimento Io Sto con Max, cerca di sollecitare il parlamento a legiferare su fine vita ed eutanasia legale. Ha scritto lettere al Papa, al Presidente della Repubblica e riceverà la visita di Laura Boldrini, presidente della Camera, a cui chiede di calendarizzare la discussione a Montecitorio e di farlo in tempi rapidi: “Credo si possano immaginare quali atroci sofferenze psicofisiche debbano sopportare i malati gravi come me, ma per quanto avessi vissuto esperienze scioccanti come volontario nella missione in Sierra Leone, neanche la più perfida delle mie immaginazioni sarebbe riuscita a costruire quel mostro fatto di dolori sparsi, disagi fisici, sogni infranti, speranze azzerate, che accompagna il malato ad ogni respiro”.
La battaglia di Max, l’ultima della sua vita, è quella per l’eutanasia legale: sarebbe un sogno se potesse andarsene solo dopo averla vinta.