La straordinaria storia di Danilo Ferrari

La straordinaria storia di Danilo Ferrari

23 Agosto 2017 Storie di Eroi vivere con la SLA 0

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Lui la guarda e lei traduce. Ogni parola? “Parola per parola. Ho tempo, tanto tempo. Il tempo è una grande ricchezza”. Non sbaglia mai? “Quando non capisco una parola, lo aspetto. Poi vado avanti”. Forse un giorno potrebbe stancarsi… “Adesso sono io che ho bisogno di lui. Oggi Danilo ha 29 anni. È dalla scuola superiore, da quando ho cominciato a prendermi cura di lui, che non riesco a staccarmi”. Maria Stella trova le chiavi per aprire a Danilo le porte della comunicazione e spazza via del tutto l’idea che lui sarà per sempre l’unico custode dei suoi pensieri. Questa chiave è il tempo. Danilo chiedeva solo questo. Il tempo di trasformare quegli sguardi in parole, in sentimenti limpidi, in emozioni, in incazzature, in battute ironiche, in apprezzamenti, in poesie, in articoli di giornale, in un libro.

Maria Stella Accolla, insegnante di sostegno alla scuola Lombardo Radice di Catania, dice che Danilo Ferrari, affetto da tetraparesi spastico-distonica che gli impedisce qualsiasi movimento e comunicazione, è uno spasso. Uno spasso? “Sì, uno spasso. Legga qui cosa ha scritto ai suoi lettori della rivista San Francesco patrono d’Italia: “Non vi incupite lettori, dopo tutto potrei essere anche cieco o sordo””.

Danilo non parla, non emette suoni, non utilizza le mani. Danilo scrive con gli occhi, Maria Stella gli presta il braccio: “A 5 anni mi sentivo come un cavaliere con la sua armatura fatta di cinghie e aste rigide”. A 9 anni non riusciva a trattenere la saliva, però una vita con l’impermeabile non sapeva pensarla: “Ma ve la immaginate una vita con l’impermeabile?”. Dice che è stato lui a convincere mamma Adele ad autorizzare l’intervento: “Era ancora in via di sperimentazione e per farlo dovetti andare in Francia. Andò bene”. A casa di Danilo non ci sono impermeabili. “Non sono guardabile? Dite: non sono pronto per il mio debutto in società?”.

A Catania su una sedia a rotelle da 29 anni, la medicina esce sconfitta e smentita. Ai genitori avevano detto: dimenticatelo, pensatelo come un mai nato, vivrà pochi anni. E invece Danilo è l’ennesimo “nato due volte”. Qui i luminari vengono stracciati da un diploma, da una laurea in scienze dell’educazione che mamma Adele, insieme al compagno Alfio e alla nonna Naris, tiene appesa come un capolavoro sulla parete di casa: “Il giorno in cui si è laureato con una tesi sulla filosofia antica, un docente si è avvicinato a Danilo e gli ha detto: “Sappi che non ti abbiamo regalato nulla. Te lo sei meritato””.

Danilo ha due fratelli che si chiamano Narayen e Sathya di 24 e 19 anni. Il padre se n’è andato quando era piccolo, poi è arrivato Alfio, adesso compagno di mamma Adele. È stato Alfio a ristrutturare il bagno: “L’ho fatto a misura per Danilo e per la sua sedia”. Danilo non ha due gambe ma quattro ruote. La sua è una lingua rara: “È fatta di segni trasmessi con gli occhi”. Per Danilo è solo una lingua essenziale: “Pensate a quanti sordi parlano, a quanti ciechi leggono con le dita. In fondo l’elemento che ci accomuna è, nella sua semplicità, la voglia di comunicare”. E per comunicare a Danilo possono bastare dieci parole: “Poche, chiare, semplici. Chi parla tanto di solito ha poco da dire. Pensate invece ai cani”. Da piccolo avrebbe voluto essere un cane: “Esprimono tanti pensieri che non possono diventare parole, come me”.

Non poteva scrivere e ha scritto un libro, non poteva parlare e ha recitato a teatro, non muoveva le gambe e ha giocato a calcio. E sempre mamma Adele ricorda che Danilo ha fatto pure da arbitro di calcio: “Al solito dalla sua sedia a rotelle”. Arbitro? “Sì, arbitro”. E forse anche questo sarebbe stato un primato: il primo arbitro a non essere insultato. Maria Stella è convinta che se lo avessero fatto, Danilo avrebbe sospeso la partita e che con lo sguardo al posto del fischietto avrebbe ammonito. E per espellere? A questo ci hanno pensato Piero Ristagno e Monica Felloni, fondatori e attori della compagnia teatrale Néon di Catania. Piero e Monica hanno insegnato a Danilo il linguaggio del corpo: “Giorno dopo giorno, ogni volta che Danilo usciva da scuola e veniva alle prove lo prendevamo dalla sua sedia, lo rotolavamo – con delicatezza – di qua e di là, e poi insieme a lui stavamo a terra, a guardare. Sa che Danilo scrive pure?”. Cosa? “Pensieri”. Come Pascal? “Eccone uno: L’errore consiste proprio nel pensare a un’unica verità”. Piero, che li ha raccolti in un libro che uscirà a breve per le edizioni Néon dal titolo Il coraggio è una cosa, anticipa che c’è di tutto: la malattia, il suo rapporto con gli altri, perfino la crudeltà dell’umanità intera. “E sapete che Danilo è il protagonista dello spettacolo?”. Anche lo spettacolo si chiama come il libro e lo mettono in scena sempre Piero e Monica insieme alla loro compagnia, che è fatta da ragazzi down, sensibili, anche se loro preferiscono chiamarli “i singolari”. Danilo invece chiama Piero e Monica “i traghettatori” e Stella, anzi Stellina, la “traghettatrice”. E con Stella si parlano a occhiate, che è il linguaggio dell’empatia e degli amanti, come il piano è appendice del pianista: “Mi sono lasciata trascinare dal desiderio di sentirlo raccontare”. Maria Stella viene ogni giorno: “Appena finisco da scuola, iniziamo a leggere e scrivere”. Solo a Maria Stella, dopo la madre, Danilo ha concesso il privilegio di imboccarlo. E per mamma Adele Maria Stella è grande quanto uno Stato, un’istituzione. Chiedo delle altre istituzioni. Adele non ha visto altre istituzioni: “Me la sono dovuta vedere io. E poi la scuola, certo. L’unica che ha favorito il suo inserimento scolastico”.

Fanno a gara a chi gli toglie più parole, più pensieri e Piero che è drammaturgo ma anche poeta ogni volta di fronte a Danilo perde l’ispirazione, dice che si sente spoglio: “Per me è un corpo intero che parla parole. Parole che restano piombate nel cuore”. La mamma racconta che da bambino si metteva a giocare con i numeri: “Si faceva disporre la sedia di fronte a un orologio da parete, poi immaginava di scrivere i numeri nell’aria utilizzando una penna e dialogava con l’orologio”. A Danilo il maestro della pittura Piero Guccione, che secondo Leonardo Sciascia nelle sue tele era riuscito a fermare il tempo, ha donato uno dei suoi quadri azzurri ed è come se avesse portato il mare in questa casa.

Piero, Monica, Maria Stella, Adele si sono passati il testimone come in una staffetta, poi si è aggiunta anche Maria Elena, la compagna di scuola dell’adolescenza. Lei dice: “Ci siamo aggrappati”. Lui scrive nel suo libro: “Un giorno nefasto sentii il rumore dello schianto del mio cuore. I miei compagni presero accordi per vedersi, io ero convintissimo che sarei stato uno di loro, invece non fu così”. Lei diventa la nave che lo conduce fuori dal porto, lui l’ancora che la trattiene: “Danilo era diventato il mio confidente, un custode”. Un po’ come La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano? “È tra i libri preferiti da Danilo” risponde Piero. Un giorno Aldo, maestro alle elementari di Danilo, gli ha perfino regalato due gambe. Lo prese sotto le ascelle e gli fece tirare calci a un pallone. Danilo lo ringraziò: “Che stupenda sensazione riuscire a fare qualcosa con le proprie gambe”. Lo faceva giocare anche quando fuori pioveva: “Nello spazio davanti all’ingresso della scuola”. Le gambe di Danilo sono di ferro, plastica e legno. Danilo le custodisce gelosamente: “Le mie gambe sono la mia sedia, che è parte di me”.

Per Danilo, Concetta Lanza, direttrice della scuola superiore Lombardo Radice di Catania, ha cambiato metodo d’interrogazione: “Ci siamo inventati le risposte multiple e un metodo infallibile”. Per dire sì, Danilo guardava verso l’alto, per dire no, bastava scuotere la testa. E poi? “Poi l’allenatore di calcio, il maestro Marotta, lo ha portato con sé ogni settimana. Per tre anni. Così anche lui poteva sentirsi parte del team”. È finita che si è messo a scrivere di sport per il quotidiano La Sicilia. Come un giornalista? “Certo, come un giornalista” risponde Alfio, che dopo il bagno gli ha costruito l’ufficio. E Alfio adesso non sembra un padre ma la figura che racchiude tutti i padri, sembra Giuseppe con gli arnesi e il legno, l’ufficio una culla: “Ha pure il puntatore ottico che lo aiuta a scrivere”. Ma mamma Adele dice che Danilo i pezzi preferisce dettarli a Maria Stella. Come una dimafonista?, chiedo. “A me, veramente Maria Stella sembra un angelo”.

Il direttore di San Francesco patrono d’Italia lo ha voluto come collaboratore. Lo ha chiamato e gli ha chiesto: “Ti va di scrivere per noi?”. Danilo ha accettato. Questo è l’inizio del suo primo articolo: “Io, Danilo Ferrari, nato a Paternò (Catania) il 20 settembre 1984, non avendo nessuna intenzione di commuovermi con le mie peripezie, voglio raccontarvi le mie avventure. Partiamo dal concetto di tempo. Io il tempo non lo contavo in ore, bensì in minuti, in secondi. Ci pensate? Due ore passano presto ma 120 minuti, 720 secondi, vissuti quasi secondo per secondo, sempre seduto, guardando gli altri muoversi freneticamente…”. Adesso all’Ordine dei giornalisti c’è una tessera da giornalista pubblicista in più a nome Danilo Ferrari.

Maria Stella racconta che a Danilo piace leggere. Cosa legge? “Gesualdo Bufalino, Alda Merini, Roberto Roversi. Il titolo del libro di Danilo viene dalle pagine di Roversi. Sa cosa faceva Roversi che era libraio? Ogni volta che spediva un libro per congedarsi scriveva una piccola poesia e la infilava dentro le pagine”. Nel libro di Danilo ce n’è una, è di un anonimo cinese: “Non camminare davanti a me/ potrei non seguirti/ non camminare dietro di me/ non saprei dove condurti/ cammina al mio fianco e saremo sempre amici”.

Danilo è da 29 anni che non parla, ma si scusa: “Perdonatemi: ho parlato troppo?”.

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